18 ottobre 2008

 

Darfur - CPI: L'ONU grazia il Sudan

Il Presidente del Sudan Omar Hassan al Bashir per ora può stare tranquillo: non sarà ricercato dalle polizie del mondo per le presunte responsabilità nel genocidio del Darfur. Una decisione della Corte preliminare ha gelato le aspirazioni del Procuratore Capo della Corte Penale Internazionale Luis Moreno-Ocampo, che il 14 luglio scorso aveva suscitato un certo interesse da parte della stampa internazionale annunciando in grande stile di aver richiesto un mandato di arresto per il presidente sudanese.

La Prima Camera Preliminare (Pre-Trial Chamber, grossolanamente assimilabile al giudice per le indagini preliminari, ndr) ha infatti deciso nei giorni scorsi di rimandare la questione al 17 novembre, chiedendo alla Procura ulteriore materiale a sostegno della richiesta per spiccare il mandato di cattura internazionale. Luis Moreno-Ocampo si è battuto strenuamente per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di un intervento in Darfur con tutti i mezzi a sua disposizione, tra cui la realizzazione e promozione del documentario prodotto dalla Warner Bros Independent Darfur Now! che ha coinvolto attori del calibro di Don Cheadle, Ted Braun e George Clooney e la cui proiezione al Palazzo di Vetro dell’ONU ha rischiato di causare un incidente diplomatico. La non decisione della Prima Camera Preliminare è un’azione un po’ ‘pilatesca’ da parte dei giudici, che hanno di fatto rimandato al mittente la spinosa questione del Darfur.

Andiamo con ordine. La Corte Penale Internazionale è un organismo indipendente a due ‘corpi’: la corte e l’Assemblea degli Stati Parte. La corte ha differenti organi - la Presidenza, la Cancelleria per la parte amministrativa, l’Ufficio del Procuratore per le indagini e per l’accusa in sede di giudizio, e tre ordini di camere giudicanti – i cui rappresentanti più eminenti vengono eletti dall’Assemblea degli Stati Parte, con l’eccezione della Presidenza, i cui membri vengono nominati dai giudici. L’Assemblea degli Stati Parte ha una struttura molto simile a quella dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, è assolutamente democratica e ha potere decisionale su questioni vitali per la composizione della corte ma non ha voce in capitolo sullo svolgimento dell’attività giudiziaria.

Ne fanno parte, con uguale diritto di voto, i 108 stati che hanno ratificato lo Statuto di Roma, ovvero tutti i paesi UE e del Commonwealth, la stragrande maggioranza dei paesi sud americani, un consistente gruppo di stati africani, alcuni stati asiatici, tra cui la Georgia. Grandi assenti tre dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza ONU: Stati Uniti, Cina e Russia più Israele. In teoria le riunioni dell’Assemblea si dovrebbero tenere a L’Aja ma il prossimo meeting è previsto per gennaio a New York. E proprio dalla Grande Mela sembra essere partita questa corrente fredda che ha rimandato l’azione della Corte in Darfur, una delle grandi sfide di Luis Moreno-Ocampo. Il Consiglio di Sicurezza ha suggerito nel 2005 con apposita risoluzione e conseguente referral (comunicazione ufficiale, ndr) all’Ufficio del Procuratore, di portare avanti le indagini in Sudan per cercare di arginare la crisi umanitaria e fermare i presunti responsabili del genocidio in atto. Il Sudan non è uno stato parte, e pertanto non ricade nella giurisdizione della CPI, ma la referral del Consiglio di Sicurezza ha permesso di aggirare la questione dell’ammissibilità. Il Procuratore capo, ben felice di poter proseguire la sua battaglia, ha individuato dei potenziali colpevoli e ha presentato la richiesta di alcuni mandati di arresto alla Prima Camera preliminare, che non si può opporre alle decisioni del Consiglio di Sicurezza sull’inizio delle indagini ma può decidere se spiccare o meno un mandato di arresto. La richiesta più spinosa è arrivata a luglio di quest’anno: mettere sotto processo Omar Hassan al Bashir, ovvero il presidente di uno stato sovrano che non ha ratificato lo Statuto di Roma e non rientra pertanto nella sfera dei paesi che hanno volontariamente accettato la giurisdizione sovranazionale della Corte.

A Washington e a Mosca più di una persona si è accorta che si tratta di materiale esplosivo e va maneggiato con la dovuta cautela. Gli strumenti a disposizione sono molteplici, ma finora quello dello stand-by sembra il più gettonato, tanto che si paventa un possibile utilizzo dell’art. 16 dello Statuto di Roma, ovvero il veto da parte del Consiglio di Sicurezza al proseguimento delle indagini per 12 mesi rinnovabili per questioni relative alla minaccia alla pace mondiale (il Capitolo VII della Carta ONU). È bene ricordare che la Corte, al contrario dei tribunali internazionali (ex Jugoslavia e Rwanda), non è un organismo delle Nazioni Unite e la sua azione non dipende dal Consiglio di Sicurezza, ma anche che non è prevista l’opzione dello svolgimento dei processi in contumacia. Al momento l’Unione Africana e la Lega Araba sono contrari a che Luis Moreno-Ocampo prosegua le indagini e la Francia di Sarkozy sembra intenzionata a voler richiedere la sospensione. La Cina, la Russia e la Gran Bretagna potrebbero appoggiare la richiesta di art. 16 se verranno garantiti alcuni requisiti minimi, tra cui il raggiungimento di un accordo di pace duraturo, la possibilità per le forze ONU di operare liberamente in Darfur e mettere sotto processo i presunti colpevoli dei massacri. Le istanze all’interno della società statunitense affinché i responsabili del genocidio vengano messi sotto processo a L’Aja sono molte e ben sostenute da una solida rete di lobbies e ONG, ma non c’è ancora una presa di posizione netta e ufficiale da parte degli USA. Sebbene il presidente uscente George W. Bush abbia chiarito che i crimini in Darfur non possono continuare, ha anche puntato il dito, durante i lavori dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, sulla situazione in Ossezia del Sud, nella Georgia, stato parte della Corte Penale Internazionale. Per ora, insomma, il presidente sudanese non ha nulla da temere, soprattutto se fermerà le atrocità e consegnerà a L’Aja la persona considerata massima responsabile del genocidio e degli stupri di massa, Ahmad Muhammad Harun, attualmente ministro per i diritti umani del Sudan.

by Valentina Cosimati
published on Liberal del 18 ottobre 2008

photo credits:
1. International Criminal Court in Voorburg, The Hague
2. Refugees in Darfur
3. Luis Moreno-Ocampo AP Photo by Jerry Lampen
4. South Ossetia by AFP/Getty images
5. UN Security Council by Patrick Gruban

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